CAPOLAVORO DALL'INTENSA DRAMMATICITÀ E STRAORDINARIO PATHOS

Indiscusso capolavoro della scultura rinascimentale, il Compianto sul Cristo morto fu realizzato dall’artista modenese Guido Mazzoni nel 1492. Abilissimo nella lavorazione della terracotta, Mazzoni è noto per l’estremo effetto realistico con cui riproduce ogni figura ed i dettagli che la caratterizzano.

Incredibilmente suggestiva è la resa delle espressioni dei volti, raffigurati in un momento di intima sofferenza tra urla di dolore, mancamenti e ciglia aggrottate, nel tentativo di trattenere il pianto. Di grande maestria è la resa delle pregiate stoffe, dei delicati ricami o delle ricche pellicce che vestono le figure. Il gruppo scultoreo è composto da otto statue in terracotta a grandezza naturale, la scena ha come fulcro il Cristo, deposto dalla croce. Intorno a lui, partendo da sinistra, si dispongono a semicerchio: Giuseppe d’Arimatea, la Maddalena, Maria di Salomè che sorregge la Vergine Maria esanime e, ancora, San Giovanni Evangelista, Maria di Cleofa e Nicodemo.

L’impianto plastico delle statue abilmente modellate esalta l’energia dei gesti: ogni personaggio è caratterizzato da una specifica posizione, una personale espressione di afflizione e di dolore. L’artista completa le sue figure minuziosamente, anche nelle parti che restano nascoste all’osservatore. Ad esempio, la Maddalena ha ben modellata la bocca aperta, che lascia intravedere la chiostra dei denti e la lingua, secondo un’abitudine di resa del vero che va ben oltre quello che l’osservatore di fatto può cogliere. Ammirando questo suggestivo gruppo scultoreo lo spettatore è chiamato ad entrare in una scena di dramma collettivo, totalizzante, universale e non può far altro che partecipare alla sofferenza dei personaggi raccolti intorno alla figura del Cristo rivivendo, perpetuamente, il suo sacrificio.

Conferisce ulteriore pregio all’opera il riconoscimento dei tratti fisionomici di rappresentanti della casa regnante d’Aragona: nel volto di Giuseppe d’Arimatea, è ravvisabile il ritratto di Alfonso II, committente dell’opera; in quello di Nicodemo, il padre Ferrante.

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